Next SNIA Viscosa: Primo Passo Per Una Next Rieti

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Rieti versa da anni in uno stato di profonda crisi. Basta fare un passeggiata tra le vie del centro, un tempo meta dello shopping. O guidare tra le strade del nucleo industriale, fino a qualche anno fa motore produttivo del territorio, per rerndersi conto della gravita’ della situazione. Ad attivita’ commerciali chiuse si affiancano asset industriali dismessi. Parlando con le persone del luogo si raccolgono opinioni spesso discordanti sulle concause della crisi. Ancor piu’ grave, si avverte un senso di disfattismo a cui fa spesso verso un immobilismo cronico.

L’attesa di un deus ex machina in grado di risollevare le sorti del declino ha caratterizzato troppo a lungo l’atteggiamento di un territorio viziato dai tempi di vacche grasse. Dalla Cassa del Mezzogiorno ai finanziamenti pubblici e gli aiuti Europei. In un contesto globalizzato di crisi economica internazionale, le carenze strutturali del territorio sono venute tutte fuori. La scarsa competitivita’ di gran parte del settore produttivo, le carenze infrastrutturali, la bassa propensione all’innovazione, la chiusura al commercio estero, l’arretrattezza del sistema finaziario, l’incompetenza delle istituzioni (di ogni orientamento politico), sono venute a galla assieme a tanti altri fattori.

La crisi ci ha messo di fronte alla cruda realta’. Ha messo in evidenza i tanti punti di debolezza del territorio che la scarsa lungimiranza delle politiche di sviluppo degli scorsi decenni non ha fatto che peggiorare. Allo stesso tempo, ha fatto perdere coscienza dei tanti punti di forza. Dalle piccole e medie imprese specializzate in settori tecnologicamente avanzati, agli asset naturali del territorio, che non sono stati sufficientemente valorizzati.

Le crisi hanno tanti lati negativi. Tuttavia, possono rappresentare un’opportunita’ di ristrutturazione per i sistemi meno competivi attraverso una creazione distruttrice. Per farlo, occorre analizzare in modo attento e puntuale lo stato economico in cui versa il nostro territorio. Occorre conoscerne a fondo i punti di forza e di debolezza. Occorre capire dove risiedono le opportunita’ di sviluppo piu’ promettenti. Troppo spesso soldi pubblici sono stati spesi senza razionalita’. Troppo spesso la politica economica e’ stata alla merce’ del clientelismo e della peggiocrazia.

Purtroppo (o per fortuna), i tempi delle vacche grasse sono finiti. Con una Paese non solo indebitato, ma in recessione, non possiamo piu’ permetterci di drogare un sistema improduttivo. Occorre che la classe dirigente abbandoni politiche di sviluppo gattopardesche ed abbracci finalmente il cambiamento.  Ripartire si puo’. Lo si puo’ fare facendo leva sui punti di forza del territorio prendendo spunto dai migliori esempi a livello nazionale ed internazionale. Con umilta’ e coraggio. Cosi’ come e’ gia’ stato fatto in passato dalle generazioni che ci hanno preceduto. Ma la spinta deve venire dal basso. Dalla cittadinanza stessa. Non si puo’ piu’ aspettare che qualcosa o qualcuno lo faccia per Noi. Perche’ Rieti siamo Noi. E se non siamo Noi a farci carico del suo sviluppo chi dovrebbe farlo?

Tutti noi, nel nostro piccolo, abbiamo qualcosa da dare. A seconda delle nostre rispettive esperienze e competenze. Il bando NEXT SNIA Viscosa e’ un esempio di attività propositiva concreta che puo’ aiutare il nostro territorio a ripartire. Troppo a lungo siamo stati abituati a pensare cosa la nostra citta’, o lo Stato, potessero fare per noi. E’ ora di cambiare. E’ ora di agire. Ognuno nel proprio piccolo, per il benessere di tutti Noi. Iniziando dalla Ex SNIA Viscosa. E’ per questo che ho scelto di entrare a far parte dell’Antenna RENA di Rieti, iniziando dall’elaborazione di un rapporto su  “Lo Stato dell’Economia e La Competitività di Rieti” che costituisce uno degli allegati del Bando. Leggendo il mio rapporto , vorrei che i miei concittadini si domandino: “Cosa potrei fare per la mia città?”.

Invito dunque tutti i soggetti interessati a fare domanda per far parte del gruppo di 10 persone che saranno coinvolte nella co-progettazione della Next SNIA.

Yassin

Charlie Hebdo e L’Opportunità Di Una Nuova Politica di Integrazione dei Musulmani in Europa

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L’attacco terroristico alla redazione di Charlie Hebdo ha riacceso i riflettori sul tema dell’Islam in Europa. Con quasi 45 milioni di Musulmani (il sei percento della popolazione Europea, che alcune stime prevedono triplicarsi nei prossimi 15 anni), i Governi Europei hanno l’urgente compito di elaborare una strategia per l’integrazione degli immigrati Musulmani nel Vecchio Continente.

La Francia e’ da tempo in prima fila nel dibattito sull’Islam in Europa, essendo il Paese Europeo con il più alto numero di Musulmani. Qualche anno fa, ben prima degli eventi di Charlie Hebdo, a scatenare il dibattito fu la legge che impedisce alle donne di indossare “simboli religiosi ostentati” (i.e. il velo) nelle scuole pubbliche. La Francia ha sperimentato lo scontro tra il fondamentalismo religioso e la laicita’ più di ogni altro Paese Europeo. Prodotto dell’Illuminismo e della Rivoluzione Francese, la Francia e’ una Repubblica fondata sulla laicite’ dello Stato. Quindi per cui, l’immigrazione di Musulmani dalle ex colonie, e le seconde e terze generazioni di immigrati, hanno provocato uno shock sociale nel Paese più laico d’Europa. Per molti versi, tale shock ha portato alla memoria la laicite’ de combat propria della Terza Repubblica. A peggiorare la situazione e’ lo stato sociale in cui versa la maggioranza dei Musulmani Francesi, (in media) più poveri del resto della popolazione. In contrasto con gli stessi temi della mobilita’ e diseguaglianza sociale pilastri della Rivoluzione Francese. Il disagio sociale di molti giovani Musulmani Francesi relegati a vivere nelle periferie dei grandi centri (banlieues) e’ stato più volte in prima pagina negli scorsi anni.

Tuttavia, la Francia non e’ l’unico Paese in Europa ad avere problemi di integrazione. La Germania, ad esempio, con il secondo più alto numero di Musulmani in Europa (prevalentemente Turchi provenienti da parti rurali dell’Anatolia) ha trattato a lungo i propri immigrati come “ospiti lavoratori” necessari a soddisfare i bisogni della rapida crescita industriale. Tuttavia, i Governi tedeschi si sono presto resi conto che gli “ospiti” erano venuti per restare. E così anche la Germania si e’ trovata di fronte a problemi di integrazione. I giovani Turchi di seconda generazione, spesso definiti “generazione persa”, sono costretti a scegliere tra la nazionalita’ Tedesca o Turca.

Dall’altro lato, l’Olanda si trova di fronte al problema degli Olandesi di origine Marocchina (per la maggior parte di seconda generazione o immigrati come parte di programmi di ricongiungimento familiare). Il coinvolgimento in attività criminali di molti Olandesi di origine Marocchina ha giocato a favore di politici di estrema destra come Geert Wilders, e della loro presunta lotta all’ “Islamizzazione dell’Olanda”. Così come lo ha fatto l’uccisione di Theo Van Gogh da parte di un Olandese di origine Marocchina. Il dibattito sull’Islam in Olanda e’ arrivato al punto di mettere in discussione il multiculturalismo come essenza dello Stato.

Da parte sua, l’Italia, con il crescente numero di immigrati di religione Islamica (provenienti soprattutto da Albania e Marocco), si e’ aggiunta tardi al dibattito sull’Islam in Europa. Tuttavia, la presenza di movimenti populisti e di estrema destra ha acceso subito i toni. Anche se l’immigrazione di Musulmani in Italia non ha causato i problemi di integrazione sociale visti in Francia, Germania ed Olanda, la proliferazione di moschee ha scatenato accese discussioni in un Paese in cui la Chiesa Cattolica detiene ancora un forte potere. Il dibattito sull’Islam in Italia ha raggiunto l’acme quando Adel Smith chiese di togliere i crocifissi dalle scuole pubbliche. Con un’economia che fa fatica a ripartire, l’assenza di una solida politica di integrazione in Italia rischia di scatenare disagi sociali negli anni a venire.

Nell’Europa del XXI secolo, il multiculturalismo rappresenta uno stato di fatto che neanche la crescita dei movimenti di estrema destra riuscirà a fermare. Con i giovani Arabi sempre più penalizzati dagli sviluppi della Primavera Araba, l’Europa rappresenterà sempre più un’attraente destinazione per gli immigrati di Medio Oriente e Nord Africa. Inoltre, con una popolazione in invecchiamento (e la stagnazione degli investimenti e della produttività ), l’Europa ha bisogno di immigrati per sostenere la crescita e lo stato di welfare.

I recenti eventi di Charlie Hebdo dovranno stimolare i Governi Europei ad affrontare finalmente il problema dell’Islam in Europa. Soltanto una reazione forte e coesa a livello Europeo potrà costituire una risposta adeguata. Il modello di integrazione degli immigrati di religione Islamica basato sull’assimilazione, prevalente nella maggior parte dei Paesi Europei, ha fallito nel riconoscere il multiculturalismo come stato di fatto nella società del XXI Secolo. Quindi per cui, i Governi Europei dovranno sfruttare l’attacco a Charlie Hebdo come opportunità per ripensare le proprie politiche di integrazione, andando aldilà di sicurezza ed anti-terrorismo.

Charlie Hebdo: Opportunity for a New European Policy of Integration

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The terrorist attack on Charlie Hebdo raises again the issue of Islam in Europe. With almost 45 million Muslims (6% of the population), andexpected to grow by one third over the next 15 years, European governments have the urgent task to devise a strategy to tackle the integration of their Muslim populations.

France has long been at the forefront of the debate on Islam in Europe, given it is the European country with the largest number of Muslims. Only a few years ago, long before the Charlie Hebdo events, a discussion erupted when a law banned women from wearing “conspicuous religious symbols” (e.g. the veil) in public schools. No country in Europe more than France has experienced the clash between religious fundamentalism and secularism. As a by-product of the Enlightenment and the French Revolution, the French Republic embraces laicite (secularism) in the public sphere as one of its defining pillars. Therefore, the immigration of Muslims from former colonies, and their second and third generations, have induced a societal shock in the most secular European State. The shock, in many ways, revives memories of the laicite’ de combat experienced during the Third Republic against the Catholic Church. Exacberating the situation, the majority of Muslims in France suffer from a lower social status than the rest of the population, reviving separate issues of upward mobility and income equality at the very heart of the French Revolution. The social distress of many of these young Muslims relegated to urban outskirts (banlieues) has repeatedly made the news in the past few years.

However, France is not the only country in Europe facing issues with its Muslim population. Germany, for instance, with the second highest number of Muslims in Europe, mostly Turkish (from rural parts of Anatolia), has long treated its immigrants as “guest workers” needed to satisfy labor demand for its growing output. However, once realized that the guests were there to stay, Germany also faced integration problems. Second generation young Turks, faced with the choice of being either German or Turkish nationals, are often referred to as a “lost generation” belonging to neither country.

The Netherlands grapples with the issue of Dutch Moroccans, mostly second generation or migrants as part of family reunion programs. The involvement in criminal activities of many Dutch Moroccans has helped far right politicians such as Geert Wilders gaining momentum in their fight against the alleged “Islamization of the Neherlands”. So did the assassination of Theo Van Gogh by a Dutch Moroccan. The debate on Islam in the Netherlands has reached the point of questioning multiculturalism as the essence of the State.

Italy, with its growing Muslim population, is a latecomer to the debate on Islam in Europe. The presence of strong far-right and populist movements gives the debate similar discourse to what we see across Europe. Mostly from Albania and Morocco, Italian Muslims have not raised the social issues experienced in France, Germany and the Netherlands. However, in a country where the Catholic Church still holds great power, the proliferation of mosques fuels loud and emotional debates. The discussion reached its apex when Adel Smith requested toremove the crucifix from public schools. Italy’s lack of an integration model risks fuelling social distress in the years to come, particularly as its economy continues to underperform.

Despite the rise of nationalist and far-right movements, multiculturalism is a reality of 21st century Europe that will become more and more relevant in the future. As young Arab populations fail to reap the fruits of the Arab Spring, Europe will continue to represent an attractive destination. With an ageing population and shrinking workforce (worsened by sub-par investment and productivity) Europe needs immigration to sustain growth and its welfare state.

The recent events at Charlie Hebdo should push European governments to finally come together and tackle the issue of Islam in Europe. Only a strong, concerted reaction at the European level can provide an adequate answer. The model of integration based on assimilation, prevalent in most European countries, has failed to acknowledge multiculturalism as a reality of 21st century Nation States. Therefore, European governments should use the attack at Charlie Hebdo to re-think their integration policies going beyond security and anti-terrorism. The views expressed in this article are solely those of the author and do not express the views of the World Bank, its Board of Executive Directors or the Governments they represent.